lunedì 30 marzo 2009

Pietro Germi

Mi piaccciono molto i personaggi mai classificabili in uno schema, una tipologia,una carriera.
Mi è sempre piaciuto molto Pietro Germi , asciutto, duro, impenetrabile e pure così pulito,chiaro,terso nel suo assoluto bianco e nero che aveva improvvise e solitarie sfumature grigie sentimentali e malinconiche; così vero nell'immergersi nei problemi italiani e così corrosivo nel guardarli con distacco amaro-amareggiato. Così "regionale"-"provinciale" il suo sguardo e al contempo capace di un respiro americano e francese e ....oltre




Nato a Genova il 14 settembre 1914. Figlio di un operaio e di una sarta, unico maschio dopo tre sorelle, rimane orfano di padre quando ha solo 10 anni. Nel 1931 si iscrive al'Istituto Nautico della sua citta perché sogna di viaggiare e di diventare capitano. Lo abbandona dopo tre anni, ma fa in tempo a compiere una crociera che tocca i porti di Marsiglia, Barcellona, Atene e Bari. A vent'anni ha imparato il russo, ama il cinema di René Clair e di John Ford ed ha gia scoperto il piacere di fumare quel mezzo sigaro toscano che l'accompagnera anche sul grande schermo. Magari indossando gli occhiali scuri del commissario Ingravallo, sempre polemico nel sottolineare a chiunque, quasi fosse un'offesa, 'non sono dottore'. (Un maledetto imbroglio, 1959).Da ragazzo è un tipo solitario, un timido aggressivo, con la nostalgia della gente. Proprio come quando interpretera Andrea, tutto solo davanti ad un bicchiere di vino mentre intorno l'umanità torna a casa per festeggiare il Capodanno (L'uomo di paglia, 1957). Prima della guerra si stabilisce a Roma e si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove si diploma prima in recitazione e poi in regia. Alessandro Blasetti gli offre di lavorare come suo assistente per Retroscena (Blasetti, 1939) e tiene a battesimo anche il suo fugacissimo debutto di attore in La corona di ferro (1941). Si e sposato da poco quando viene richiamato alle armi e si ammala di pleurite. Durante la lunga convalescenza comincia a progettare il suo primo film, Il testimone (1945), che si ostina a voler dirigere da solo, anche se accetta la supervisione di Blasetti. Prosegue con Gioventù perduta (1947) che lo consacra come autore e regista.Poi, si fa notare con In nome della legge (1949) ancora con Massimo Girotti, uno dei primi film italiani sulla mafia, sorta di western ambientato in Sicilia , ed il Il cammino della speranza (1950), su un gruppo di zolfatari meridionali che emigrano in Francia, che gli vale dei riconoscimenti internazionali e contemporaneamente gli ostacoli da parte della censura e di certa critica, ma anche l'apprezzo di grandi come Nicholas Ray che lo definì 'il film piu emozionante e pieno di poesia che io abbia mai visto'.Segue La città si difende del 1951, la sua carriera subisce una battuta di arresto. Germi si aliena le simpatie della critica ma non quelle del pubblico con cui mantiene sempre un rapporto privilegiato. Gira La presidentessa (1952) e nello stesso anno Il brigante di Tacca del Lupo con Amedeo Nazzari. Ad essi seguono Gelosia tratto dal romanzo di Luigi Capuana Il marchese di Roccaverdina che dieci anni prima era stato portato sul grande schermo da Ferdinando Maria Poggioli, mentre nel (1953) lavora ad uno degli episodi del film Amori di mezzo secolo

Resta inattivo per quasi due anni, ma nel 1955, con Il ferroviere, gira una delle sue opere più riuscite ed intense. Si e da poco separato dalla moglie quando dirige Il ferroviere (1956), dedicato alla figlia Linda e da lui stesso interpretato, dopo aver pensato a Spencer Tracy per il ruolo da protagonista.Il ferroviere ottiene un gran successo di pubblico ed il film è considerato uno dei capolavori del regista genovese. Ad esso succedono film come L'uomo di paglia (1958), e il capolavoro Un maledetto imbroglio (1959) tratto dal romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda. Germi vi recita come altre volte gli accadrà, come nel bel film di Damiani ,Il Rossetto, ancora nel ruolo del poliziotto disilluso
Dopo aver raggiunto il successo eccolo passare al registro della commedia: e centra immediatamente il bersaglio con “Divorzio all’italiana” (1962), che ottiene un Oscar per la sceneggiatura e dà praticamente il nome ad un intero genere. Farsa amara e pungente, dove viene stigmatizzato il concetto di delitto d’onore, procura al Nostro fama internazionale grazie pure ad una strepitosa interpretazione di Marcello Mastroianni. Spiazza pubblico e critica dando alla sua carriera una svolta imprevedibile: comincia infatti a girare commedie pungenti, satiriche e grottesche. Vi tratteggia l'indimenticabile barone di Cefalù interpretato da Marcello Mastroianni irretito dall'adolescente Stefania Sandrelli e apre questa nuova fortunata stagione della sua carriera e dal titolo del film ha preso il nome un certo tipo di commedia prodotta in Italia in quel periodo nota come commedia all'italiana.
Qui incontra l'attrice Daniela Rocca,la moglie del protagonista Marcello Mastroianni, che per la prima volta, non viene scelta per la sua avvenenza fisica ma per le sue doti recitative: trasformata da un trucco che la imbruttisce tanto da renderla irriconoscibile, si esibisce in una grande interpretazione che la consacra star internazionale, così da guadagnarsi la nomination come migliore attrice straniera alla British Academy of Film and Television Arts Awards. Sul set del film nasce anche la travagliata storia sentimentale con il regista che contribuirà a minare profondamente la sua fragile psiche. Turbata dalla storia con Germi, per la quale tenterà più volte il suicidio, Daniela decise di girare un film Il peso del corpo del quale voleva essere regista, produttore e attrice protagonista: progetto stralunato che la porterà a dilapidare tutti i suoi averi e lentamente al ricovero in case di cura. Il seguente “Sedotta e abbandonata” (1964) affronta tematiche e presenta personaggi similari, accentuando i toni grotteschi e una certa concitazione narrativa. Con Sedotta e abbandonata Germi torna per l'ultima volta a girare in Sicilia, una regione legata ad una particolare empatia con il regista ligure. Pietro Germi era un uomo del Nord ma il suo carattere umorale e passionale, nascosto sotto l'apparente scorza di scontrosità e intransigenza, lo faceva essere vicino alla gente meridionale di cui conosceva e criticava severamente il modo di concepire la vita, i pregiudizi e gli errori ma di cui apprezzava anche le qualità innate.
Ma anche il Nord non è risparmiato dalla critica corrosiva di Germi. Il 1965 è l'anno del limpido Signore & signori con Virna Lisi e Gastone Moschin, satira sull'ipocrisia borghese di una cittadina del Veneto e girato a Treviso. Il film vince la Palma d'Oro al Festival di Cannes ex aequo con Un uomo, una donna di Claude Lelouch. Intenti di satira di costume ed acre moralismo trovano, infine, un perfetto punto di fusione in “Signore e signori” (1965), ove nel mirino del regista finisce la perbenista provincia veneta, che nasconde dietro l’ossequio formale al cattolicesimo infiniti ed inconfessabili vizi. Mentre lui sembra aver trovato un nuova stabilita affettiva con Olga D'Ajello, la donna che sposa nel 1966 e dalla quale avra tre figli. Dirige la coppia Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli in L'immorale (1967), gradevole film ispirato, pare, alla vicende personali di Vittorio De Sica. Ma mentre sta lavorando al progetto di “Amici miei” (1975) (poi ereditato da Monicelli), Germi scompare prematuramente per una affezione epatica, perché sofferente di cirrosi epatica. Germi muore a Roma il 5 dicembre 1974, lo stesso giorno del primo ciak di Amici miei Il film uscito nelle sale nel 1975, è a lui dedicato. Cineasta sottovalutato, artigiano di talento (Fellini lo chiamava “il grande falegname”, mescolando aspetto fisico e valore professionale), è un narratore di storie impeccabile: forse il migliore indigeno nel coniugare istanze artistiche e ragioni spettacolari, nella direzione d’un cinema più statunitense che nostrano.

Assorbita la lezione del cinema americano, Germi si affida ai generi (western, road-movie, film gangster, melodramma) per cercare «di stabilire con la realtà italiana lo stesso rapporto che i cineasti americani hanno con la loro realtà nazionale», passa dunque attraverso un «cinema della trasmutazione e del malessere […] che si chiude in casa come in un fortino assediato» e approda infine a una commedia barocca e grottesca – ambientata in una «Sicilia frontiera passionale» e non più «sociale» - in cui «il mito della legge è visto tutto in negativo». Così, in termini palazzeschiani, Monicelli – cui Germi affiderà la regia del suo Amici miei (1975) – parla di questo passaggio dal tragico al comico: «si conferma la mia teoria che lo stadio espressivo drammatico corrisponde alla fase "infantile" della produzione di un artista, mentre è molto più matura l'espressione comico-umoristica». Ad affascinare è soprattutto l'autoritratto di Germi che viene fuori dal piccolo puzzle di scritti antologizzati da Caldiron in Germi secondo Germi e in Diario di bordo. Ad interessare è soprattutto – in Dicono di lui - lo scarto tra il suo essere e il suo apparire, tra l'immagine che Germi dà di sè e l'immagine che gli altri – quelli che hanno l'accortezza di limitare ai minimi termini l'aneddotica autoreferenziale - si sono fatta di lui. Un uomo destinato a venire frainteso perché "con il risvolto ai pantaloni", sentimentale e anche ottimista («nevrotico non è il mio senso dell’esistenza. Non mi annoio e la vita mi piace, lo confesso, bella e brutta com’è»), "all'antica" («forse in questo io non sono moderno, se essere moderno è lasciare tutto incerto, sfumare la fine dei film, non definirli: d'accordo anche la vita è ambigua, ma io tengo a dare una conclusione alle cose, una morale»), solitario («ho una vita sociale inesistente, io non vedo assolutamente nessuno. Vita mondana? Feste? Ma che. Scherziamo?») e ostinatamente restio a sentirsi in sintonia col presente («siccome, come tutti gli attori, devo pagare lo scotto dell'ambizione interpretativa, ho anch'io i miei personaggi ideali, quelli che mi piacerebbe un giorno interpretare. Savonarola, per esempio, che fu un uomo austero, profondamente compreso del mondo in cui viveva e tuttavia con esso – e con le leggi divine e umane – in perenne conflitto»). Un artista forse mai abbastanza valorizzato che, al servizio di un cinema onesto, voleva divertire il pubblico e non annoiarlo assecondando i capricci della critica ("tengo conto del pubblico. Non penso invece alla critica. Se dovessi seguire la critica, non farei più niente") o degli intellettuali (sintomatica la sua idiosincrasia per Gadda durante la lavorazione di Un maledetto imbroglio). E decisamente disgustato dal pansessualismo cinematografico: «Io trovo che il sesso è un argomento veramente noioso. […] Il suo valore spettacolare consiste in un eccitamento umorale che, se non subordinato a un preciso senso etico, ha la gratuita e macabra indecenza d'una serie di impianti igienici». Nel 1951 Germi sta per cominciare un nuovo film: «ormai è il sesto eppure, ogni volta, è lo stesso terrore, la sensazione angosciosa di non potercela fare». Dopo Divorzio all'italiana, nel 1963, si accinge a girare il suo tredicesimo film, Sedotta e abbandonata: «come sempre sono pieno d'incertezza e di paura». Impossibile - per chi scrive – non associare queste annotazioni a una frase che Salinger cita in Seymour. Introduzione: «Il saggio è pieno di ansietà e indecisione nell'intraprendere qualsiasi cosa, e perciò ha sempre successo».

Nessun commento:

Posta un commento