domenica 26 dicembre 2010

Fuori set

Frammenti di quando smette il cinema e ricomincia la vita .........

domenica 19 dicembre 2010

I dimenticati

John Sullivan è un noto e brillante regista di commedie musicali hollywoodiane, ma è deciso a filmare un dramma sociale sulla povertà :“ Fratello, dove sei”. Contrastato dai produttori, dato che parlare di miserabili non rende, si traveste da vagabondo in cerca di vita reale. In uno dei suoi vagabondaggi conosce una bella ragazza che gli offre da mangiare, raccontandogli che è una attrice disillusa, e che è riposante parlare ad un uomo con cui non deve essere carina per forza, lui vorrebbe restituirle il favore, ma lei gli risponde "Non è necessario, bamboccio; quando ti cambierà la fortuna pagherai a qualcuno che ha fame delle uova al prosciutto e saremo pari!". Ma alla fine deve tornare indietro e tirandosi dietro la bionda. Ma non demorde e si rimette in viaggio , questa volta lei lo vuole affiancare perché non si cacci ancora nei guai, travestendosi a sua volta da ragazzo. Però per una serie di circostanze viene creduto morto e allo stesso tempo condannato ai lavori forzati, qui nella disperazione più vera di un uomo, tra carcerati senza speranza, in un cinema improvvisato per loro in una chiesa di soli neri, reietti tra reietti, inizia a comprendere.Vede trasformarsi quegli esseri abbruttiti, ridendo come bimbi innocenti, davanti ad un cartoon di Topolino, sgomento e poi trascinato da quel ridere sgangherato e liberatorio anche lui. Per caso scopre che lo si crede ucciso e autoincolpandosi del suo omicidio finisce sui giornali, riconosciuto e liberato. Ora si che si è disposti a fargli fare quel film triste ed impegnato , ora che il pubblico è attirato dalla sua storia riempirà le sale comunque, ma lui ha imparato la lezione. Adesso sa che per aiutare chi è disperato, ultimo, dimenticato non serve raccontare da intellettuale benestante che è essere un povero, ma aiutarli a non pensarci per un po’, dare loro un motivo per vivere e una risata può fare miracoli. Parte come una commedia di battute e scene da film comico del muto e poi passa al dramma, mescolando in una stessa scena di continuo serio e faceto, fino a diventare inno poetico, un viaggio nel cinema e nella vita, un atto d’amore verso la commedia. L’impegno è necessario, ma Sturges è consapevole che per chi non ha niente anche quelle due ore spensierate possono essere molto. Sì, si può essere anche molto seri, e parlare di cose tragiche anche con il sorriso sulle labbra , come ricorda l'incit di questo film meraviglioso : "In ricordo di tutti coloro che ci hanno fatto ridere: i saltimbanchi, i clown, i buffoni di tutti i tempi e di ogni nazione, le cui fatiche hanno alleggerito i nostri fardelli almeno un poco; con affetto vogliamo loro dedicare questo film"

L'attrice a John : "Sai, il vantaggio di pagare da mangiare a un uomo è che non occorre ridere delle sue facezie. Se tu fossi un pezzo grosso come un regista o qualcosa di simile, io mi dovrei fingere ammaliata."


Il regista e il maggiordomo : " - Voglio andare per la strada a scoprire cosa significhi essere povera gente: fare un film sulla miseria. - Se mi è permesso dire, signore, il soggetto non interessa a nessuno. Il povero sa tutto sulla povertà: solo agli intellettuali piacerà l'argomento. -Ma io voglio farlo per i poveri, non capisci?"

domenica 12 dicembre 2010

Il pranzo di Babette

Martina e Filippa, due sorelle nubili d’età, figlie di un austero pastore luterano, vivono in uno sperduto paesino della costa danese, ove rappresentano una sorta di guida spirituale. Hanno rinunciato a molto nella vita tra cui l’amore di un cantante lirico francese e di un ufficiale in nome di una assurda moderazione intransigente, e vivono una tranquilla vita da benefattrici, ma asettica. La monotonia del villaggio è rotta dall’arrivo di una francese dall’aria triste in fuga dalla rivoluzione, su preghiera dell’antico amore tenorile la ospitano, e lei si offre di servirle gratuitamente in cambio del solo vitto e alloggio. Lentamente delle cose si modificano nelle due sorelle, grazie a Babette, che si dimostarà insostituibile, devota, cordiale con tutti , e si accorgeranno sottilmente, che la serenità del villaggio è in realtà covo di rancori e sottintesi tra gli abitanti. Dopo anni dalla Francia giunge una notizia sorprendente : Babette ha vinto un cifra folle alla lotteria; sono tutti spiazzati . Ella chiede carta bianca per una cena memorabile di ringraziamento. Incerte del pranzo, ma sicure di perdere la loro preziosa e silenziosa Babette, le due donne accettano, pentendosene subito vedendo l’enorme mole di cibarie goduriose che lei fa giungere da ogni dove e palesemente anti-morigerazione . Giunge la sera della cena gli inviatati sono dubitanti, tra loro per fatalità ritroviamo quell’ufficialetto ora generale che ha portato sempre nel cuore la soavità di quella fanciulla. Iniziano ad arrivare i piatti elaboratii, prima con diffidenza poi con ardore tutti gustano quel momento divino di piacere incomensurabile, ogni piatto una raffinatezza meravigliosa, un poema ineguagliabile, un esperienza vivificante. Sentono la vita scorrere, però non afferrano completamente l’importanza di ciò che hanno gustato, fino a quando il generale non afferma che un tale pranzo raffinato e pieno d’arte era capace di crearlo solo la più grande chef di Parigi, e che il costo di una simile tavolata è al di là di ogni immaginazione, allora si scopre che Babette è quella cuoca sopraffina, vittima della rivoluzione vi ha perso consorte, figlio, tutta la sua vita di prima, ma qui ha trovato la pace. Si tutta la sua fortuna improvvisa è stata spesa in questo banchetto, ma sa di aver fatto vivere per una sera l’arte di cui è capace e aver reso felici, anche solo per un momento sublime, persone che l’hanno accolta e che ama e che non intende lasciare. Per questo può rispondere al generale che le dice "Così ora sarete povera per il resto dei vostri giorni... Un artista non è mai povero ......ho dato solo il meglio di me ". L’altro e l’arte, i colori del piacere puro che vincono la ritrosia del formalismo freddo del rigore morale fine a se stesso, dimostrando che la passione e l’amore sono calore estroso non una serie di regole frigide e castranti. Il bene non è solo una minestra calda, quella è piccola pietà, il bene è dare tutto di se, donarsi senza remore, dando calore al corpo come all’anima, è amore incondizionato e l’amore dona una luce splendente anche nelle notti più buie.
Il generale :" Ho trascorso con voi ogni giorno della mia vita. Ditemi che lo sapete. [...] Ditemi che sapete anche che io sarò ancora con voi ogni giorno che m'è dato da vivere. Ogni ora siederò a pranzare con voi: non con il mio corpo, che non ha importanza, ma con il mio spirito. Perché stasera ho imparato, mia cara, che in questo nostro splendido mondo ogni cosa è possibile."

Le due sorelle alla fine di quella serata memorabile : "Le stelle sono venute più vicine. Forse verranno più vicine ogni sera. "

domenica 5 dicembre 2010

Vestito per uccidere

Kate è una bella signora frustrata dall' indifferenza del marito, che confida le sue ansie sessuali al dottor Elliot. In una galleria d'arte incontra uno sconosciuto e grazie ad un guanto perduto e un inseguimento tra i dipinti, giunge ad una fuggevole ed irruenta avventura con lui. Rimane sconvolta, però, scoprendo che questi ha una malattia venerea. Scappa dall'appartamento, ma nell'ascensore del palazzo una bionda con impermeabile e occhiali neri la uccide a rasoiate. E' quasi testimone del fatto Liz, giovane prostituta che diventa sospetta agli occhi della polizia e la papabile prossima vittima. Si alleerà con l'imbranato, ma genialoide figlio di Kate, cercando tra i pazienti del dottore, credendo il colpevole un trans misterioso, arriverà alla sconvolgente verità che lo psichiatra è il killer dalla doppia identità. Nel finale troviamo Liz minacciata da Elliot fuggito dal manicomio , ma è solo un sogno , realtà e immaginazione si confondono e certe esperienze restano per sempre dentro, in un perenne scherzo beffardo . Thriller ad alto voltaggio, teso , dalla trama pulp , che non è che la scusa per De Palma per iattuare uno dei suoi meccanismi filmici sorprendenti in fatto di messa in scena registica, omaggiando il cinema come suo uso e il maestro da lui preferito: il vecchio zio Hicth. Ovvero come iniziare il film con una attrice di fama – e bionda - e poi nella prima mezzora farla fuori brutalmente, e come il tema del doppio, della pulsione sessuale ( più esplicita qui, ma dall'erotismo seducente per uno spettatore ancora una volta inguaribile voyeur ) e come l'uso della psicanalisi. Tutto diventa circolo vizioso di sogno dentro una realtà dentro un' altro sogno, perdendosi nei labirinti della mente. Geniale l'uso registico , tecnica virtuosa e di idee come le immagini che abbinano nello stesso istante due momenti temporali : il presente con il pensiero del già passato . Mirabile il gioco degli sguardi tra Kate verso il marito distratto, con una bambina, da un quadro all'estraneo , da morente alla ragazza , fino alla doppiezza di sguardo di Elliot ad uno specchio che lo riflette , emblema del suo doppio. Ma soprattutto la scena nelle sale della galleria d'arte, tutta gioco silenzioso dentro la musica di Donaggio, di occhiate fuggevoli, di un guanto dimenticato, in sequenza di stanze in cui perdersi, tra immagini intellettual-artistiche mentre si aggira un desiderio carnale ancestrale, una caccia raffinatissima, in campi lunghi e piani sequenza bellissimi in cui la preda diventa cacciatrice confusa e bisognosa di quelle sensazioni ambivalenti tra paura, voglia, rifiuto , anelito. Non importa dove la porterà , tanto la vita è un gioco beffardo.