domenica 24 aprile 2011

Ho affittato un killer

Henri Boulanger è un uomo qualunque, un francese che lavora da molto tempo come impiegato nella Londra fine anni Ottanta e vive solo in una squallida casa. Un giorno si ritrova anche disoccupato senza un motivo, perdendo l’ultimo filo che lo lega alla vita. Ma farla finita non è così facile, s’impicca, il gancio però non regge, si asfissia col gas, scatta improvviso uno sciopero dell'erogazione. Non resta che assoldare un sicario che lo uccida inesorabilmente. Per il contratto si reca nello strano e fatiscente Honolulu bar, 1000 sterline e una sua foto e dopo non gli resta che aspettare ed entro due settimane tutto sarà finito. In attesa inizia a girare per locali, e in un pub incontra Margaret, una fioraia, se ne innamora e la vita riacquista un valore, un senso, una nuova voglia di esistere. Ma il killer è già sulle sue tracce entra anche in contatto con la ragazza che lo tramortisce e fugge. Henry cerca quel bar per revocare tutto, ma non esiste più, inoltre per caso si ritrova come sospettato di una rapina in gioielleria. Trova rifugio nel negozio del francese Vic,che ha dietro un piccolo cimitero.Qui riacquista pace, fiducia nella vita e nell’amore. Ma proprio quando scopre di essere stato scagionato della rapina, il nostro assassino lo scova, è un professionista serio lo abbiamo visto mentre gli stava alle costole, abbiamo visto anche che è un buon padre preoccupato di lasciare la figlia senza un soldo ora che un cancro ai polmoni lo divora, un condannato a morte che deve ucciderne un altro. Per tutte queste ragioni trovandosi davanti quei due, spara, ma a se stesso. Henri e Margaret sono salvi ed insieme. Un uomo straniato in una città considerata bella dal turista, ma assettica e surreale, per chi la vive da disperato, da perdente, fatta di case decrepite e una periferia di aree dismesse, in cui escavatori e burocrazia distruggono le cose e le persone da un giorno all’altro. Kaurismaki sa girarvi con uno stile da noir ma in modo stralunato ed ironico, senza fretta, lavorando in sottrazione, con la neutralità dei suoi personaggi, ed un tocco di leggerezza buffa, che lo rende al di là del tempo della storia che racconta. Un film che ha un che di astratto, di metafisico, con però un grande cuore molto umano.

domenica 17 aprile 2011

Un amore splendido

Nickie Ferrant è celebre nelle cronache rosa per essere un elegante playboy che sta per impalmare un'ereditiera, raggiungendola a New York viaggiando su un lussuoso transatlantico. Qui conosce l'affascinante Terry che a sua volta sta per raggiungere il ricco fidanzato. Tra i due si stabilisce subito un'intesa complice che si trasforma in amore quando la nave fa scalo a Villafranca sulla Costa Azzurra dalla nonna francese di lui, che vive in un angolo paradisiaco fuori dal mondo. Terry scopre un uomo diverso lì e si rivela donna profonda a Nickie. Non sanno più che fare, decidono di sacrificare una vita di facile ricchezza, chiudere con il loro passato e i rivedersi dopo sei mesi per constatare se il sentimento è vero e forte da vincere tutto. Si danno un appuntamento sull'Empire State Building, il punto più vicino al cielo che abbia N.Y. Nickie riscopre la sua passione per la pittura, ma all’appuntamento aspetterà invano fino a notte, Terry non è andata perché per la fretta di raggiungerlo è stata investita da un auto. Paralizzata non vuole incatenarlo in un legame difficile, lui soffre atrocemente, ma ritrova un’ispirazione artistica fortissima, che in poco tempo lo rende apprezzato dai galleristi. Una sera la rivede ad un concerto non comprendendo la situazione, ma gli è impossibile dimenticarla, la trova per regalarle lo scialle che sua nonna le ha lasciato, subito preso dal sordo rancore non nota che lei non si alza mai dal divano, eppure sente che lei è la stessa di Villafranca, atroce il sospetto gli sorge ricordando che un ritratto di lei fu regalato ad una giovane donna in carozzina, infatti trova il quadro e comprende tutto, nulla’altro ha importanza se non che la ritrovata. Anche Terry si rassegna ad un amore che non può essere vinto, d’altronde se lui è riuscito ancora a dipingere lei riuscirà ancora a camminare, ne è sicura. Una delle commedie sentimentali più perfette, che passa dall’iniziale tono da commedia sofisticata ad un tono drammatico malinconico, come si fa a non essere incantati da quel primo bacio di cui vediamo solo le gambe che si avvicinano sulla scala, come si fa a non struggersi con Cary Grant all’ultimo piano del grattacielo che aspetta e rimanda continuamente via l’ascensore sempre sperando, mentre scende la sera e imperversa una tempesta, come si fa non innamorarsi della grazia ironica di Deborah Kerr, come si fa a non deliziarsi dei dialoghi arguti : non si può infatti, non si può resistere a questo amore senza tempo, splendido e ricercato come lo scialle ricamato che riunisce i due innamorati. Terry : - È stato un incidente, ma è stata tutta colpa mia, guardavo su, sull'Empire State Building: era la cosa più vicino al cielo e là c’eri tu ...... -

domenica 10 aprile 2011

Genova

Joe è un professore inglese che ha accettato una cattedra all’Università di Genova, per poter riemergere con le sue giovani figlie dal dolore della perdita della moglie in un stupido, tragico incidente stradale . Spersi nei sentimenti feriti, sperduti in una città straniera fatta di vicoli dalle ombre scurissime tagliate da una luce accecante. Ognuno reagisce al dolore a modo suo, lentamente , riprendendosi la vita a piccole dosi, magari con una giornata al mare, una fuga nella libertà che può dare una moto, o ancora credendo di vedere la propria madre tra i malchiusi portoni di una città misteriosa. Ma non ci sono veri misteri, se non quello dell’amore, unica possibilità per non rischiare di non riconoscersi più, solo l’affetto li unirà ancora e sosterà per continuare a vivere. Una nuova città, una nuova vita, l’estate, stagione intermedia di passaggio, di pausa è finita : riaprono le scuole, anche questa piccola normalità è il simbolo che si può riuscire ad andare avanti. Un piccolo film di Winterbottom, scarno, semplice, essenziale, ma sentito pur nel pudore di entrare nelle vite dei suoi personaggi,imperniato sulla difficile ricerca di conforto reciproco per sopravvivere al senso di smarrimento di una perdita. Perdersi per ritrovarsi ancora, ancora insieme.

domenica 3 aprile 2011

John William Waterhouse

Ci sono immagini che ci vorticano nella mente, ma spesso non sappiamo chi le ha un giorno create, ci attraggono, ci appartengono in qualche modo, ma sono dislocate nel nulla. Questo mi è accaduto, e credo a molti, con le opere di John William Waterhouse, pittore inglese della contradditoria epoca vittoriana, che segue la scia, ormai sul finire, del movimento Preraffaelita. Ma rispetto alla maggior rigidità di tratto e tema dei caposcuola, qui troviamo ormai la contaminazione del decadentismo, l’estetica del Art Noveau, del simbolismo che sta per farsi surrealismo. Le eroine dei suoi quadri non hanno più quell’aurea purificata e sacrificale, ma sono creature sensuali , volitive nella loro ricerca come mollemente abbandonate al sonno/sogno, tormentate dal vento come dai sensi, legate a simbologie di fiori che le attorniano e acque che le sfiorano, attratte da semidei addormentati o rapite dal profumo intenso di una rosa. Non, o non solo , delicate principesse e distaccate cortigiane medievali, ma Sirene voluttuose, Ninfe tentatrici, Ladies folli per amore come Ofelia o la Signora di Shalott. Il suo mondo coloratissimo ci porta in un mistero femminino oscillante tra una mitologia romanticizzata, un medioevo ottocentesco, tra Shakspeare, Dante e Omero. La sua pittura ha un realismo descrittivo perfetto che rende vero un dipinto fatto totalmente di fantasticherie oniriche, di creazioni atemporali , di suggestioni poetiche panteistiche. C’è qualcosa di evanescente e carnale in questi dipinti che ci resta dentro istintivamente, al di là dei temi o dell’influenze artistiche che li hanno formati. Come indimenticabili sono le sue donne fatali, dalla bellezza magicamente, terribilmente, accecantemente luminosa.