, gira una delle sue opere più riuscite ed intense. Si e da poco separato dalla moglie quando dirige Il ferroviere (1956), dedicato alla figlia Linda e da lui stesso interpretato, dopo aver pensato a Spencer Tracy per il ruolo da protagonista.Il ferroviere ottiene un gran successo di pubblico ed il film è considerato uno dei capolavori del regista genovese. Ad esso succedono film come
. Germi vi recita come altre volte gli accadrà, come nel bel film di Damiani ,Il Rossetto, ancora nel ruolo del poliziotto disilluso

Dopo aver raggiunto il successo eccolo passare al registro della commedia: e centra immediatamente il bersaglio con “
Divorzio all’italiana” (1962), che ottiene un Oscar per la sceneggiatura e dà praticamente il nome ad un intero genere. Farsa amara e pungente, dove viene stigmatizzato il concetto di delitto d’onore, procura al Nostro fama internazionale grazie pure ad una strepitosa interpretazione di
Marcello Mastroianni. Spiazza pubblico e critica dando alla sua carriera una svolta imprevedibile: comincia infatti a girare commedie pungenti, satiriche e grottesche. Vi tratteggia l'indimenticabile barone di
Cefalù interpretato da
Marcello Mastroianni irretito dall'adolescente
Stefania Sandrelli e apre questa nuova fortunata stagione della sua carriera e dal titolo del film ha preso il nome un certo tipo di
commedia prodotta in Italia in quel periodo nota come
commedia all'italiana.

Qui incontra l'attrice Daniela Rocca,la moglie del protagonista
Marcello Mastroianni, che per la prima volta, non viene scelta per la sua avvenenza fisica ma per le sue doti recitative: trasformata da un trucco che la imbruttisce tanto da renderla irriconoscibile, si esibisce in una grande interpretazione che la consacra star internazionale, così da guadagnarsi la nomination come migliore attrice straniera alla British Academy of Film and Television Arts Awards. Sul set del film nasce anche la travagliata storia sentimentale con il regista che contribuirà a minare profondamente la sua fragile psiche. Turbata dalla storia con Germi, per la quale tenterà più volte il suicidio, Daniela decise di girare un film Il peso del corpo del quale voleva essere regista, produttore e attrice protagonista: progetto stralunato che la porterà a dilapidare tutti i suoi averi e lentamente al ricovero in case di cura.

Il seguente “
Sedotta e abbandonata” (1964) affronta tematiche e presenta personaggi similari, accentuando i toni grotteschi e una certa concitazione narrativa. Con
Sedotta e abbandonata Germi torna per l'ultima volta a girare in
Sicilia, una regione legata ad una particolare empatia con il regista ligure. Pietro Germi era un uomo del Nord ma il suo carattere umorale e passionale, nascosto sotto l'apparente scorza di scontrosità e intransigenza, lo faceva essere vicino alla gente meridionale di cui conosceva e criticava severamente il modo di concepire la vita, i pregiudizi e gli errori ma di cui apprezzava anche le qualità innate.
Ma anche il Nord non è risparmiato dalla critica corrosiva di Germi. Il
1965 è l'anno del limpido
Signore & signori con
Virna Lisi e
Gastone Moschin, satira sull'ipocrisia borghese di una cittadina del
Veneto e girato a
Treviso. Il film vince la
Palma d'Oro al
Festival di Cannes ex aequo con
Un uomo, una donna di
Claude Lelouch. Intenti di satira di costume ed acre moralismo trovano, infine, un perfetto punto di fusione in “
Signore e signori” (1965), ove nel mirino del regista finisce la perbenista provincia veneta, che nasconde dietro l’ossequio formale al cattolicesimo infiniti ed inconfessabili vizi. Mentre lui sembra aver trovato un nuova stabilita affettiva con Olga D'Ajello, la donna che sposa nel 1966 e dalla quale avra tre figli. Dirige la coppia
Ugo Tognazzi e
Stefania Sandrelli in
L'immorale (
1967), gradevole film ispirato, pare, alla vicende personali di
Vittorio De Sica. Ma mentre sta lavorando al progetto di “
Amici miei” (1975) (poi ereditato da
Monicelli), Germi scompare prematuramente per una affezione epatica, perché sofferente di cirrosi epatica. Germi muore a
Roma il
5 dicembre 1974, lo stesso giorno del primo ciak di Amici miei Il film uscito nelle sale nel
1975, è a lui dedicato. Cineasta sottovalutato, artigiano di talento (
Fellini lo chiamava “il grande falegname”, mescolando aspetto fisico e valore professionale), è un narratore di storie impeccabile: forse il migliore indigeno nel coniugare istanze artistiche e ragioni spettacolari, nella direzione d’un cinema più statunitense che nostrano.


Assorbita la lezione del cinema americano, Germi si affida ai generi (western, road-movie, film gangster, melodramma) per cercare «di stabilire con la realtà italiana lo stesso rapporto che i cineasti americani hanno con la loro realtà nazionale», passa dunque attraverso un «cinema della trasmutazione e del malessere […] che si chiude in casa come in un fortino assediato» e approda infine a una commedia barocca e grottesca – ambientata in una «Sicilia frontiera passionale» e non più «sociale» - in cui «il mito della legge è visto tutto in negativo». Così, in termini palazzeschiani, Monicelli – cui Germi affiderà la regia del suo Amici miei (1975) – parla di questo passaggio dal tragico al comico: «si conferma la mia teoria che lo stadio espressivo drammatico corrisponde alla fase "infantile" della produzione di un artista, mentre è molto più matura l'espressione comico-umoristica». Ad affascinare è soprattutto l'autoritratto di Germi che viene fuori dal piccolo puzzle di scritti antologizzati da Caldiron in Germi secondo Germi e in Diario di bordo. Ad interessare è soprattutto – in Dicono di lui - lo scarto tra il suo essere e il suo apparire, tra l'immagine che Germi dà di sè e l'immagine che gli altri – quelli che hanno l'accortezza di limitare ai minimi termini l'aneddotica autoreferenziale - si sono fatta di lui. Un uomo destinato a venire frainteso perché "con il risvolto ai pantaloni", sentimentale e anche ottimista («nevrotico non è il mio senso dell’esistenza. Non mi annoio e la vita mi piace, lo confesso, bella e brutta com’è»), "all'antica" («forse in questo io non sono moderno, se essere moderno è lasciare tutto incerto, sfumare la fine dei film, non definirli: d'accordo anche la vita è ambigua, ma io tengo a dare una conclusione alle cose, una morale»), solitario («ho una vita sociale inesistente, io non vedo assolutamente nessuno. Vita mondana? Feste? Ma che. Scherziamo?») e ostinatamente restio a sentirsi in sintonia col presente («siccome, come tutti gli attori, devo pagare lo scotto dell'ambizione interpretativa, ho anch'io i miei personaggi ideali, quelli che mi piacerebbe un giorno interpretare. Savonarola, per esempio, che fu un uomo austero, profondamente compreso del mondo in cui viveva e tuttavia con esso – e con le leggi divine e umane – in perenne conflitto»). Un artista forse mai abbastanza valorizzato che, al servizio di un cinema onesto, voleva divertire il pubblico e non annoiarlo assecondando i capricci della critica ("tengo conto del pubblico. Non penso invece alla critica. Se dovessi seguire la critica, non farei più niente") o degli intellettuali (sintomatica la sua idiosincrasia per Gadda durante la lavorazione di Un maledetto imbroglio). E decisamente disgustato dal pansessualismo cinematografico: «Io trovo che il sesso è un argomento veramente noioso. […] Il suo valore spettacolare consiste in un eccitamento umorale che, se non subordinato a un preciso senso etico, ha la gratuita e macabra indecenza d'una serie di impianti igienici». Nel 1951 Germi sta per cominciare un nuovo film: «ormai è il sesto eppure, ogni volta, è lo stesso terrore, la sensazione angosciosa di non potercela fare». Dopo Divorzio all'italiana, nel 1963, si accinge a girare il suo tredicesimo film, Sedotta e abbandonata: «come sempre sono pieno d'incertezza e di paura». Impossibile - per chi scrive – non associare queste annotazioni a una frase che Salinger cita in Seymour. Introduzione: «Il saggio è pieno di ansietà e indecisione nell'intraprendere qualsiasi cosa, e perciò ha sempre successo».
